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Di rilievo

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Minnie Luongo, giornalista e scrittrice specializzata in campo medico scientifico, spesso collegato con il sociale, non ha certo bisogno della mia presentazione. Lei stessa si presenta e si confida in un editoriale cui rimando: parole e immagini documentano  risultati professionali di rilievo, e non solo.

Oltre all'amore per i cani e un segno zodiacale con cui mi trovo in sintonia perché lo stesso di papà, ci lega l'essere state colleghe ai tempi in cui insegnavamo lettere nella stessa scuola media dell'hinterland milanese e, pur non avendo stretto un'amicizia profonda, avvertivamo reciproche simpatia e stima.

Mi lusinga che dopo così tanto tempo siano state riconfermate da un gesto semplice e amicale: affidarmi il suo libro, da annotare prima ancora della pubblicazione e presentazione, che ricordo avverrà il prossimo giovedì 19 maggio 2022, alle 17:30 a Milano, Sala Stampa Nazionale in via Cordusio 4 nella Sala Pieroni.

Dato che si tratta di una anticipazione, ho cercato di parlarne senza  svelare troppo. Basti citare il prefattore Paolo Veronesi (direttore del programma senologia dello IEO) che lo suggerisce come lettura ai medici. Argomento e scrittura però sono tali da non potersi limitare a qualche riga, perché nella vicenda personale di Minnie tutte e tutti (con situazioni diverse, ovvio) possiamo ritrovarci.

Visto che confessa di essere ansiosa di sapere se "piacerà", spero si deduca facilmente dalle mie note, ma intanto glielo dico: sì!

E se capitasse a me?

È la domanda sorta spontanea – come diceva qualcuno – fin dalle prime pagine di questo racconto di vita vissuta, esempio di utile ed empatica medicina narrativa.

Se capitasse a me di essere chiamata per verificare un’immagine sospetta nella mammografia di routine, nel primo momento di lucidità disponibile, andrei a prendere questo libro e lo terrei a portata di mano: come un manuale? Asetticamente, sì, lo dice anche il sottotitolo. Come il braccio cui appoggiarsi mentre ti accompagna e ti aiuta? Ecco, sì, questa è la sostanza vera. E il “braccio” saldo, che accompagna l'autrice ma anche il lettore, è quello di Paola Emilia Cicerone: una voce pacata ma puntuale a sottolineare, stemperati dall’ironia di Minnie Luongo, momenti cruciali in cui appaiono i "malanni" del nostro Servizio Sanitario Nazionale, che pure ha delle eccellenze reali, ma talvolta solo funzionali al raggiungimento statistico di determinati standard in cui il malato, bisognoso di attenzione e bussola, non ha rilievo alcuno e sparisce dimenticato. Fa in tempo a guarire e raccontarlo, oppure fa in tempo a morire: «Morirà prima di qualcos’altro» è una “perla” del mio passato rimasta impressa nella memoria.

Perché, in realtà, qualcosa di simile mi è capitato, anche se non direttamente, e non una volta sola, come immagino alla maggior parte delle persone, considerato che è raro evitare questa malattia. E, leggendo questo libro, ho rivissuto soprattutto i momenti dell’attesa degli esiti e della diagnosi.

Fatico a individuare quale mi è pesato di più: l’attesa lascia forse lo spiraglio della speranza, la possibilità dell’azione, anche se questa si risolve spesso in ricerche assillanti e deleterie, fino all’etimo di parole sconosciute: ho studiato greco al liceo, servirà pure a qualcosa – mi dicevo di fronte a lemmi ostrogoti e acronimi pronunciati come dovessero essere noti a chiunque. Sotto questo aspetto, l’autrice godeva del “vantaggio” (sul filo della sua ironia) della propria competenza: lavora da sempre con il linguaggio medico, scrive di medicina.

È un tipico atteggiamento di alcuni medici quello di parlare al paziente come fosse un esperto: «Me lo spieghi come se avessi due anni» era la richiesta che ho sentito ripetere quando il desiderio di capire cosa stesse accadendo al proprio corpo e cosa si stesse organizzando per curarlo, per quanto doloroso o “brutto”, superava ogni altra necessità.

Poi ci si affida, se ci si fida del medico, ma ci si smarrisce facilmente di fronte a certe affermazioni di cui anche un bambino capirebbe il rischio di travisamento; ho sentito con le mie orecchie questa frase: «Non penserà di fare la crociera di fine anno…» (era il 6 dicembre); il sottinteso erano la celerità per giungere a una diagnosi più mirata e le terapie da affrontare, ma il primo pensiero – non esplicitato e quindi lasciato lì, a incancrenire pure lui – si è presentato in gramaglie e con la falce. Altro che psico-oncologo.

Per quanto si possa essere forti e psicologicamente attrezzati è una notizia cui è complesso reagire.

Per carattere, si sceglie: cercare il sostegno di familiari e amici, oppure far da sé, una scelta forzata quando si è soli e in quanto tali non preventivati dalle strutture sanitarie. Può anche capitare che il malato sia tanto forte da sostenere il familiare, da rendergli sopportabili i passaggi diagnostici e quelli delle cure, in day hospital o a casa, dove il cartellino, appeso allo specchio del bagno e voltato ogni sera, reca scritto "dx/sx" a indicare il lato pancia utile per la prossima iniezione di eparina. E i tatuaggi da centratura, sempre lì, ad essere per fortuna scambiati per qualcosa che va via passandoci sopra una mano. E la valigetta degli esami, indispensabile, sempre più pesante, quasi legata al polso che neanche un portavalori; la ricerca del reparto giusto, stanza quale, attesa dove, porte chiuse, camici frettolosi, svolazzanti e imprendibili, ma si deve bussare? No, escono loro; la solidarietà fra malati.

Sono facilmente riscontrabili nella pratica esperita tutti i rilievi dell’autrice e di Paola Emilia Cicerone: la mancanza di un ruolo di guida del medico di base, la scarsa o nessuna attenzione alla psicologia del malato, i servizi dedicati ma inesistenti, persino volontari inadeguati e assenza di sedie, fino alla pericolosa superficialità e alla trascuratezza nella prescrizione di farmaci potenzialmente dannosi, che costringono a insistere non solo perché sia dato ascolto ai propri sintomi, ma addirittura perché sia letta la propria cartella clinica, la necessità di ricorrere a scorciatoie o sbraitare per ottenere ciò che spetta di diritto; nonostante ciò, esistono isole accoglienti dove le persone con il camice suppliscono alla farraginosa organizzazione grazie a volontà, scrupolo, professionalità, caparbietà, lavoro d’equipe; e associazioni di volontariato che forniscono il supporto necessario.

L’autrice dedica al «come fare se» una serie di utilissime e dettagliate schede esplicative, oltre a interviste mirate ai medici di famiglia e specialisti (senologo, radiologo, genetista, psico oncologo, chirurgo plastico) e ai paramedici, infermieri e volontari inseriti nelle associazioni, tutte facilmente reperibili grazie a indicazioni complete che indirizzano al meglio nel settore.

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