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A proposito
di cani

I MIEI MUSI ISPIRATORI

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«Ogni cane è un individuo a sé unico e insostituibile»: questo l’esordio di un manuale per gestire sé stessi nel momento in cui si decide di accogliere un cane nel proprio nucleo familiare, perché il cane non “si prende”: il cane instaura una relazione e vive con l’umano e nel rispetto delle sue caratteristiche si integra nel nucleo/branco.

Basterebbe questa premessa e un’occhiata, anche di sfuggita, alle immagini inserite per consigliare una lettura che capovolge i più ingessati cliché di come ci si rapporta con un cane: il contatto, il dialogo – silente solo per chi è sordo – instaurato dall’autore con i cani che aiuta ad integrare, è talmente evidente nelle loro espressioni da far dileguare qualsiasi incertezza sull’efficacia.

Non ci sono ricette però: solo i capisaldi di un metodo educativo/rieducativo che parte da una scelta consapevole e ragionata, fondata sulla compatibilità tra cane e umano, una scelta che deve tener conto delle esigenze imprescindibili del nuovo familiare, perché il cane è un essere senziente e diventa un familiare.

L’esperienza accumulata e spiegata dimostra che nessun cane è irrecuperabile e, mi ripeto, basta osservare le immagini: non solo la delicatezza e l’empatia sprigionate dalla figura dell’autore ma soprattutto le inequivocabili espressioni dei cani, fiduciosi, amorevoli, affidati completamente in un rapporto paritario e totale e appagati, sereni, felici.

Come fa?

«Semplicemente domando al cane cosa lo affligge e mi faccio raccontare la sua versione che è sempre quella giusta».

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Non ricordo di preciso quando ho incrociato le notizie sull’attività di Andrea Cisternino e ho iniziato a interessarmene; ricordo bene però che ho seguito sui social i giorni terribili di cui racconta nel libro. E leggendolo, ho ritrovato tutto: momenti (compresa la nascita della puledra Vika), situazioni, persone. Una in particolare non posso fare a meno di ricordare per la tenacia dell’azione: è datato 24 marzo il messaggio rassicurante che Franco Frattini mi ha mandato – in poco più di mezz’ora – in risposta al mio grazie per il suo intervento; «Ci siamo quasi» diceva. Il concorso di pressioni, tra cui la sua, ha portato gli aiuti a destinazione.

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Il libro racconta nei dettagli rivelabili, da diversi punti di vista – di chi chiede aiuto e di chi lo porta – i quaranta giorni di sopravvivenza di Andrea, della sua famiglia umana e animale, sotto le bombe e senza viveri, alla possibile mercè del primo assassino che poteva entrare armato e uccidere, per fame o per odio. La vicenda di KJ2 Italia rientra nella memorialistica di guerra, ma mi ha toccato molto il racconto del progressivo evolvere dell’amore di un uomo per gli animali, la decisione di agire, di fermare i dog hunter ucraini nel 2012, la devastante esperienza dell’incendio anni prima, la tenerezza dell’affetto palpabile nel racconto come nelle immagini dell’inserto fotografico. Mi resteranno nel cuore Igor, il collaboratore ucraino di Andrea, e tutti gli animali ritratti e raccontati, soprattutto quelli che non ci sono più per mani assassine: veleno, fuoco, proiettili, incuria, abbandono. E non mi capaciterò mai.

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A pagina 54 di I miei cani russano. Senti che bel rumore, Lisabetta Mugnai afferma: «Perché noi proprietari di cani, almeno alcuni […] non siamo gente normale, va detto».

Vero! Noi proprietari di cani siamo gente splendida, speciale, tranne alcune eccezioni, poche per fortuna, ma sempre troppe.

Purtroppo, non tutti i proprietari di cani adottano tutte le misure necessarie per scegliere, crescere, accudire il proprio animale, per vivere al meglio con lui e soprattutto per rendere la sua vita la migliore, la più felice e serena e adatta a lui.

Non tutti impegnano il binomio uomo-cane come unità cinofila nella Protezione Civile per aiutare gli altri, come invece fa la protagonista umana di questo racconto di vita vissuta e vivente, con i suoi cani Gemma e Aldo.

Caparbia e paziente, anche se non sembrerebbe, tenera e scorbutica al tempo stesso, affida al registratore di una giornalista la propria esperienza di parte umana del binomio perché sia utile a chi si accinge ad avere con sé un cane, e magari due cani, e, perché no, anche dei gatti. La affida perché resti, perché lei stessa la possa sempre ricordare, perché i libri ci sopravvivono.

Per quanto le malattie si manifestino quasi come una persecuzione, con il bagaglio di sofferenze, di patimenti, di difficoltà anche economiche richieste dalle cure; nonostante i “disastri” che tutti i cuccioli combinano – e talvolta non perdono l’abitudine neppure da adulti – la storia di Gemma e Aldo, di chi li ha preceduti e di chi vive ancora con loro, testimonia che male, cattiveria, perfidia, noncuranza sono sempre bipedi (con le dovute eccezioni, per fortuna).

I cani sorprendono, se li gratti in un certo punto “mettono in moto la lambretta” (o “fanno il molita” come si dice dalle mie parti), i cani danno gioia, dormono uno addosso all’altro e addosso a te, ti fanno sorridere e ridere, ti toccano il cuore, e ci si innamora perdutamente.

Dormire accanto al proprio cane che russa è meraviglioso.

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Come ci si accorge della particolare intelligenza, delle pieghe dell’anima e degli aspetti della personalità del proprio cane? Parlandogli, dato che solo così noi umani comunichiamo, e osservando le sue reazioni che sono risposte a tutti gli effetti. In questo modo Ines Corridori si è accorta della unicità della sua Peg.

Un articolo sulla capacità dei cani di rilevare il parlato e la rappresentazione del linguaggio in idiomi differenti mi ha portato a scoprirne la storia, ricostruita in questo libro attraverso testimonianze e documenti (lettere e stampa dell’epoca) che accendono un riflettore sui nostri anni ’50.

La barboncina Peg, vissuta a Chiari tra il 1949 e il 1961, impara a contare, leggere e scrivere: declina nomi e verbi, forma frasi, esegue operazioni scegliendo cartellini con numeri e lettere e componendo il risultato, conosce il tedesco.

Si esibisce in pubblico per beneficenza ed attira ovviamente l’attenzione della stampa. Del «fenomeno» parlano numerosi quotidiani e periodici tra il 1957 e il 1961, (Corriere della Sera, La Notte, Gente, l’Espresso, L’Europeo). Il primo a parlare di Peg è Vittorio Beonio Bocchieri. Nel luglio 1957 racconta delle capacità di Peg e crede di essere impazzito quando a domanda precisa la barboncina risponde e scrive il nome del presidente Gronchi. Altri la esaminano e sul numero di luglio 1960 di «Minerva medica» appaiono i risultati dell’incontro con uno specialista del Centro studi di parapsicologia di Bologna. Si tenta di spiegare l’inspiegabile: addestramento, empatia, memoria associativa eccezionale, telepatia, simbiosi psichica. Non manca il sacerdote che ci vede subito l’artiglio del diavolo: «Peggy brava senza diavolo» risponde pronta lei allineando i cartellini delle lettere. «Per un cane è tanta fatica scrivere» spiega invece a chi, ironico, la definisce sapiente.

Negli anni ’50 si fatica a dire – e pare eresia – che Peg è una persona, una «piccola persona» di quelle di cui scrive Anna Maria Ortese. Si parla di personalità, di personaggio, la si paragona a un bambino. E Peggy commenta: «Pochi buoni» gli uomini.

Si sottolinea il particolare rapporto tra Peggy e Ines, la sua «padrona» che all’epoca ripudia il termine e si definisce amica del proprio cane, prova a contestare le asserzioni della Chiesa cattolica sull’assenza di anima e intelligenza negli animali, e nega alla scienza il cervello della propria amica.

Tra i vari interlocutori che hanno avvicinato Peg, due restano impressi.

Enzo Tortora la incontra il 5 dicembre 1959 a Firenze al Club Parterre e quando Peg manifesta la necessità di uscire («Ho i bisogni»), «In fondo a destra, in fondo a destra!» le indica d'istinto.

Un mese prima, il 4 novembre 1959, appare sul Corriere della Sera un articolo di Dino Buzzati: «No, io non sono venuto per un’inchiesta psicologica, non mi propongo di trovare una spiegazione banale e tranquillizzante allo straordinario caso. Si tratta di una pura e semplice intervista [a Peg] senza secondi fini», al termine della quale Buzzati si volge «per un ultimo saluto. Seduta sulla soglia, Peg mi sta fissando. Nei suoi terribili occhi mi sembra di intravedere qualcosa che sta fra il compatimento e l’ironia».

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L’ultimo scodinzolio. La morte degli animali è un saggio breve ma intenso di Raffaele Mantegazza. Con il supporto di discipline e arti diverse, indaga e illustra i molteplici aspetti (scientifico, culturale, pedagogico) dello stare davanti alla morte dell’animale: «la cosa più coraggiosa e intima che può fare un uomo». Partendo da uno dei primi episodi dell’Olocausto (la requisizione degli animali da compagnia degli ebrei per aggredire un rapporto portatore di valori) indaga i rapporti tra guerra e animali: vittime, strumenti di guerra (cani kamikaze) e di nuovo vittime del dopoguerra, perché lasciate a loro stesse. Riflette su caccia macellazione e sperimentazione: tutti modi per dare la morte all’animale, lungo la pericolosa china della desensibilizzazione nei confronti della sofferenza dell'animale, che è sempre innocente. Racconta con l’aiuto di professionisti, soprattutto veterinari, momenti terribili che si vivono per la sproporzione tra la nostra vita e la loro, i modi dell’elaborazione del lutto, come affrontare il momento in presenza di bambini, la risonanza della perdita nelle biografie famigliari: temi che intersecano le modalità di educazione (dei bambini) e di formazione (dei professionisti che con gli animali lavorano), anche dell’umano che “porta via” in un sacco di plastica nero il tuo “chi”.

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Nella vita con il proprio cane arriva il momento delle cure mediche; non parlo di quelle di routine, mi riferisco a cure importanti per patologie gravi, a volte curabili, altre no. Si spera sempre, fino a quando ci si deve arrendere e bisogna elaborare la perdita. Purtroppo, so di cosa parlo: con Pedro ci sono passata. Blasco e Marina sono legati dal luogo d’origine, dal destino, dalla storia: non è un caso se sono insieme. È solo un cane (dicono), che l’autrice Marina Morpurgo definisce un “librino” ma che lo è solo per la misura, al quale si è  aggiunto un altro volume (La storia continua, che non ho ancora letto), affronta il tema non semplice della malattia dai due punti di vista umano e canino. In situazioni simili ci si chiede (io almeno l’ho fatto, l’ho dovuto fare) quali sono la strada e la scelta migliori per il nostro cane; ci si domanda lui cosa pensa, cosa prova, quale sarebbe la sua decisione se potesse prenderla. Io ho cercato di capire Pedro guardandolo negli occhi, provando ad “ascoltarlo” anche attraverso il contatto: spero di aver capito bene. Blasco ce lo dice con una sottile ironia che ribalta l’idea dell’amico fedele in adorante contemplazione. Il filo dell’ironia aiuta ad affrontare momenti che non vorresti mai attraversare. Anche questo può fare per te il tuo cane.

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Con la sagoma di un cane – Liù (e viene in mente Puccini, o gli Alunni del sole) – e una parola simpatica (biografia) un libro cattura l'attenzione. La quarta dice trattarsi della biografia di Liù, ma soprattutto dell’idea di cane.  Un saggio? Credevate! È un tappeto volante che vi porta sulla filosofia, la storia, la musica, il costume… tutto. Ad imprimere la direzione a questo bellissimo tappeto è l’autore, ma in mano ha il guinzaglio che lo lega a Liù e, come sa molto bene ogni bipede dotato di quadrupede, è lei che porta e trasporta. Gli scettici, o gli apparenti tali, capitolano quando prendono coscienza che il cane possiede «lo stigma dell’individualità», quando comprendono che «il segreto del rapporto fra gli umani e i non umani consiste nel trovare corrispondenze percettive aperte», quando si ritrovano (anche nel senso che ritrovano sé stessi) ricondotti a «stare immers[i] nelle cose e cercare soluzioni parziali», quando infine trovano conforto nella pancia morbida e calda del loro cane, nello specifico di Liù. Tra i tanti i virgolettati da trascrivere, scelgo questo: «Mi auguro davvero che avesse ragione l’amletico papa Montini, quando diceva che alla destra del Padre, nel giorno del giudizio, rivedremo nella gloria di Dio i «nostri» animali. Ci sarebbe soltanto da intendersi su quel possessivo «nostri», parola ermeneuticamente fortissima e ambigua. […] Nostri perché ci sarebbe forse un principio di convivenza implicito nella creazione, di cui siamo tutti partecipi, ognuno con differenti scintille di divinità, con anime dotate di sfumature diverse, ma forse intrise di una sostanza non dissimile?» (pag.81).

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Si termina la lettura con una rinnovata certezza: il male è bipede. Avidità, bieco tornaconto, disonestà, inganno sulla pelle altrui a dirne alcuni legati al denaro; e poi ferocia, perversione, sevizie sugli inermi. Subito la rabbia dell’autrice diventa quella del lettore. Pagine serrate, a tratti strazianti raccontano storie, volti (e non musi) soprattutto di cani disperati e sofferenti; si susseguono fatti, emozioni, ideali, intenti impossibili da riassumere, che si intrecciano a vicende private, raccontate con sincerità. Il libro trasuda amore per i cani ad ogni pagina, ad ogni numero di pagina, e non lo scrivo a caso. Il bene è quadrupede, mi sono detta. Non solo: basta leggere le cifre di quanto Save the dogs ha realizzato finora. Nata dalla reazione emotiva di fronte alla barbarie denunciata da una fotografia, è diventata azione concreta, unica e vitale, di una donna che non perde la fiducia nel genere umano.

Quindi il bene a volte è anche bipede.

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Nero è un cane adulto, temprato e segnato dalle circostanze del proprio vissuto, un meticcio solitario ma capace di rischiare la vita per un amico. Per lui, per cercarlo, per salvarlo, ritorna, con tutta la consapevolezza e la strategia necessarie, ad affrontare il mondo umano, quello marcio, disgustoso e vigliacco delle scommesse clandestine sui combattimenti tra cani. Strazianti e indimenticabili le pagine dedicate all'attesa del confronto tra lottatori, alcuni esperti, altri in grado di cavarsela, altri invece vittime sacrificali, inermi e predestinate. Si legge d'un fiato, ci si commuove fino alle lacrime.

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Pa e Mo

Po e Ma

Dopo E l’uomo incontrò il cane, universalmente noto e quasi scontato, e classici letti da ragazzina, come Il richiamo della foresta, Zanna Bianca, Cane e padrone, è stato per me determinante nella decisione di scrivere il mio, questo bellissimo libro di Alberto Asor Rosa, Storie di animali e altri viventi: non posso recensire Asor Rosa, ma posso raccontare cosa la lettura di questo romanzo ha indotto. 

Gli animali di cui si racconta, un gatto maschio Micio Nero e un cane femmina Contessa, vivono con una coppia di umani: lui è Pa per il gatto, lei è Ma per il cane, però per il gatto lei è Mo, e per il cane lui è Po: si crea un funambolico, divertente e colto gioco delle parti per raccontare la convivenza tra individui che comunicano sulla stessa frequenza, che stabiliscono relazioni familiari di cui i quadrupedi sono attivamente e responsabilmente partecipi.

Gli animali parlano e nella loro voce c'è la sincerità, la verità del sentire. Nella voce, tradotta in parole umane, ho trovato la chiave per raccontare anche la mia storia.

Il lampo di luce nera alla fine porta via quanto si ha di caro e insostituibile, ma volendo c'è un modo per essere sempre insieme.

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