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Un altro incontro casuale, ma forse già scritto, indotto, bastava seguire le impronte di cane: un amore, una ragione di vita che ci accomunano.

Lei e la sua scrittura sono tutt'uno.

Le sue parole hanno la densità dei colori dei suoi quadri.

Attraversa con innata naturalezza generi diversi mantenendo una precisa e riconoscibile coerenza.

Il suo impegno contro la violenza sulle donne la distingue.

Le sue recensioni invitano a riflettere.

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Passione e lucidità: il saggio di Carmen Trigiante è un concentrato di questi due elementi, solo in apparenza antitetici, dosati con ardore e sapienza. Lo scopo è indurre a riflettere su limiti, costrizioni e condizionamenti che vincolano l’esistenza di molti e impediscono di raggiungere la felicità, o almeno la serenità, che forse sono la stessa cosa: chi e cosa, quanto e come agiscono? Qual è il sistema migliore per individuarli e sottrarci così ai paradossi vissuti ciecamente?

La vita è un dono; la mamma ha sempre ragione e… lei te l’aveva detto; il tempo cura tutte le ferite; perdonare, sempre e comunque; non bisogna umanizzare un cane: verità assolute? Certezze ataviche? Dogmi? O banalità da coda alle Poste?

Lo studio, la conoscenza, la piena realizzazione di sé possono insegnare la rara arte di «scodinzolare alla vita»; questa fluisce, corre ad una velocità con cui è difficile tenere il passo anche senza le zavorre con le quali moltissimi si muovono: «egoismo, individualismo, interesse personale, invidia». Per alcuni sarà più agevole, per altri più irta di ostacoli, ma la via per la felicità – secondo Carmen Trigiante – esiste.

L’autrice offre ai lettori la propria esperienza come una mappa: dall’adolescenza inibita nelle sue manifestazioni più genuine, agli studi universitari in un ramo non proprio consono, fino alle prime esperienze di lavoro in un mondo «specchio dell’Italia più becera». Dal fondo di un barile, da un baratro, è iniziata la ripresa, come un disgelo e un successivo rifiorire, aiutato dalla Filosofia, dalla Storia, dalla psicologia, da paradigmi e archetipi di valore universale, troppo spesso ignorati nel senso etimologico del termine, cioè non conosciuti. Ne è nato un progetto itinerante di arte poliedrica e piena realizzazione del sé, di confronto, scambio e scoperta di realtà imprevedibili e persone degne.

Alla luce dei nuovi incontri, le «relazioni tossiche» di cui ci si circonda molto spesso vanno eliminate drasticamente. I manipolatori seriali, gli ingrati, gli invidiosi – con l’impressionante pletora di caratteristiche peculiari – devono essere allontanati, anzi, buttati nella spazzatura: a ciascuno un cassonetto colorato ad hoc.

Così, resi più saldi e forti, si può e si deve affrontare quanto nella società è distorto: giustizia inerte di fronte al dilagare della violenza, «garantismo ipocrita», diffusa prepotenza scambiata per legittimo libero agire, «menefreghismo sociale», ignoranza diffusa funzionale alla manipolazione. E si chiude il cerchio.

Il saggio termina con la parte che ho preferito, quella dedicata al «postantropocentrismo» in cui il ricordo di Milù e del suo ruolo mostrano con una semplicità disarmante e poetica che l’uomo non è, non può essere il centro dell’universo perché ci sono animali in grado, meglio di lui, di farsi portatori di valori assoluti.

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Maternità impropria di Carmen Trigiante è un saggio, una breve storia della genitorialità che indaga ambiti diversi per una ricostruzione poliedrica. Basterebbe per consigliarne la lettura. Ma c’è dell’altro.

Quando la chioma bianca e il diritto a un’esenzione ti collocano, volente o nolente, tra gli anziani, dà sollievo pensare che – forse non tantissime – ma ci sono ancora giovani voci incisive in grado di richiamare alla retta via, o a quella che tu consideri tale.

Ti sono stati insegnati valori, dati esempi, mostrati comportamenti al confine con il sacrificio della vita in nome di un dovere morale e li cerchi ancora, nonostante tutto, intorno a te. Ne trovi sempre meno, in un presente in cui la scienza con le sue conquiste “a passi da gigante” sommerge invece, e discrimina, in cui il «fasullo» è categoria dominante, anzi LA categoria. E un po’ invidi (per il tempo che ha davanti), un po’ concordi, un po’ ti rinfranchi di fronte a questo libro che denuncia la fallacia del senso comune, la prevaricazione della morale bigotta e paolina, il conformismo tanto inutilmente contrastato negli anni ’70 da essere sopravvissuto in altre forme altrettanto conformanti.

La denuncia è supportata da un excursus storico (fonti e citazioni comprese) dai primordi della società ai giorni nostri, con una precisa disamina della legge sulla procreazione assistita.

E ripercorri anni vissuti: 1974 e 1978, referendum su divorzio e aborto; rivivi momenti che se per te, all’epoca giovane seppur non spregiudicata, non ponevano troppi interrogativi, per altri invece sollevavano dubbi che i principi fondanti della laicità giungevano a dirimere.

Quando leggi a pag. 44: «Non credo esista concetto più infido, vergognoso e depravato di chi concepisce la maternità come un dare avere, in una logica di scambio propria dei più avidi patti commerciali», trovi spunti per l’analisi di una frase: «Sei il bastone della mia vecchiaia».

La famiglia esiste ove un atto d’amore la unisce: sono d’accordo.

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Favole e falene di Carmen Trigiante ha risvegliato un'altra me.

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«Diamine dell’amministratore! Ti stanno crescendo le menne! Benedettiddio! Zampa Corta!»

Ma cosa dici?

Ripeto le frasi di Maria Callas: simpatica idea, particolare e divertente.

Maria Callas era un soprano ed è morta, ormai.

Questa Maria Callas, in questo libro, è un merlo indiano, e parla, ripetendo ciò che ascolta - come gli si confà.

Ma il libro è bello?

Sì: è divertente; sembra di essere a teatro: situazioni quotidiane esilaranti di una coppia di genitori con suocera e vicina di casa onnipresente, e una figlia adolescente che insegue il proprio sogno con cocciuta determinazione, nonostante tutto.

Quale sogno sarebbe?

Realizzare la propria vena artistica e diventare una étoile, l’étoile.

E il “tutto nonostante il quale” cosa sarebbe?

La sua doppia, l’altra sé dentro di lei, e poi…

Ah, capito! Un po’ come me e te quando dobbiamo scrivere: tu scrivi e io cancello.

Però poi riscrivo. Comunque, un’adolescente è in fase di crescita, di acquisizione di consapevolezza: se a questo si aggiunge un conflitto con la madre che invece di sostenerla, la ostacola, capisci bene che la situazione si complica. E Luana (la protagonista) deve scegliere.

Questa è la madre; e il padre?

Sommerso da numeri e carte, d’altronde è un commercialista. E vorrebbe che la figlia proseguisse l’attività.

Oh, poveretta!

Per una volta siamo d’accordo. Almeno i numeri non ci dividono.

Mi pare però un po’ esile come trama?

Ma che dici! C’è molto altro: esperienze di vita negli ambienti dello spettacolo, ingiustizie e soprusi, relazioni corrose dall’invidia, più di un evento traumatico, una solidarietà inattesa, un incontro scritto nel destino e la soluzione che si incarna, e non a caso, in un non umano. Come tutto quel che ho letto finora di Carmen Trigiante anche questo romanzo affronta temi di spessore privato e sociale, con una penna lieve ma incisiva. Un libro che induce a pensare.

Filosofico, insomma.

Esatto: filosofico, ma non astruso; archetipi e allegria coniugati con sapienza.

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Tornano ad ardere le favole, di Carmen Trigiante è il seguito di La prigione delle favole sole. Anche in questo romanzo, l’autrice agguanta il lettore e lo conduce sulla via dell’immaginazione intuitiva, attiva la ricerca intelligente della possibile evoluzione degli eventi, sollecita una partecipazione alla lettura che assume un ritmo incalzante.

Sullo sfondo di intrighi internazionali, ammantata dai misteri dell’esoterismo, la costruzione della trama (per chi ha letto il primo libro) aggiunge particolari alla descrizione dell’associazione a delinquere in cui il male si incarna, assumendo le forme dell’interesse cieco, del potere agito con sopruso e violenza, sulle donne in questo caso, ma – traslando – su chiunque lo intralci opponendosi.

Non è solo questione di donne, alla fine: è questione di persone, di malvagità, perversione, orrori, brutture, e soldi, avidità; l’invidia, la brama di potere e possesso, il gelo della malvagità si incarnano anche in personaggi femminili. Ed è acclarata la capacità dell’autrice di scandagliare tale universo.

Il “gioco delle coppie” assume risvolti tragici in questa vicenda, di cui scelgo di non raccontare; il maschile si mostra in aspetti imprevisti come accade nel quotidiano: quante volte ci si è chiesti “ma possibile?” di fronte a comportamenti che mai si sarebbero immaginati… E nel coinvolgimento della lettura, mi sono posta il dubbio di essere stata vittima, come la protagonista Maya, della presunta “strategia manipolatoria” di Andrea.

Selvaggia, bambina adorabile che ama i cani d’impulso, incarna i figli delle vittime di femminicidio e al tempo stesso l’idea del restituire alla vita, suscitando la medesima immediata simpatia dell’omonimo personaggio che l’ha preceduta. E Dottor Freud è il cane lupo in copertina, ma non solo: è presenza indispensabile, guida, discreta attenta e istintiva.

La scrittura di Carmen Trigiante è una calamita che usa, ancora, le parole come pennelli e le immagini come colori, avvolge tutto nell’odore salmastro del mare, essenza, profumo che da sempre mi attira e mi ingloba. È una scrittura che apre sipari, così lontana dalla mia eppure così immediata nell’emozionarmi.

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Non voglio riassumere, neppure per sommi capi, la trama di La prigione delle favole sole, romanzo di Carmen Trigiante, per la quale rimando alla quarta di copertina dove si anticipa il possibile, perché non voglio svelare nulla di più. Ci pensa, abile, l’autrice a guidare per mano il lettore sulla strada dell’intuizione, lasciandolo sospeso il tempo necessario per chiedersi quale direzione prenderà la vicenda, una delle possibili intraviste oppure uno sviluppo imprevedibile. E li troverà entrambi. Preferisco soffermarmi su altro, e c’è tanto altro.

La costruzione della vicenda mi è apparsa come una sorta di piovra che allunga tentacoli ovunque e lancia inchiostro nero per nascondersi e proteggere la testa pensante, fino alla resa finale. La scrittura aderisce, nel ritmo e nei lemmi scelti, alle situazioni: cambia con il loro susseguirsi, calza a pennello su ogni personaggio e ne accompagna l’analisi psicologica. Immagini, metafore, similitudini sono dense e pastose come i colori sotto la luce della Puglia, dove il romanzo è ambientato, una luce che è difficile vedere altrove e dona nitidezze quasi feroci.

Tormentate, sofferenti, indomite sono le figure femminili protagoniste, animate soprattutto da un insopprimibile senso della giustizia per il quale sono disposte a tutto. Gli uomini sono la loro adeguata controparte, l’altra parte, e sono delineati con tutta la gamma dei coinvolgimenti possibili nelle relazioni che si stringono con loro. Ognuno possiede una caratteristica capace di conquistare il lettore. Maya mi ha coinvolto con la fragilità; Selvaggia con la schiettezza della sua scrittura, che la rappresenta; Viola con la capacità di reagire; Claudio con la simpatia e Andrea con il suo affascinante dolore. La presenza della filosofia, rilevante in tutto il romanzo, è una sorta di narratore focalizzante che aiuta a non perdere il senso degli accadimenti.

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Quattro cani e un... chihuahua è il primo dei libri di Carmen Trigiante che ho letto e immersa nei cani fino al collo è la condizione che ho sempre sognato di vivere da bambina, quando, data la dimensione, sarei stata all’altezza del muso del cane e avrei quindi potuto stringermi al suo collo e tuffarmi nel suo pelo senza alcuna preoccupazione o ritrosia.

Sarei stata al colmo della felicità, al contrario della protagonista di questo romanzo breve che – avverte subito – si teneva bene alla larga da loro prima di esserne travolta e sommersa, fino al collo appunto, in un susseguirsi di situazioni divertenti, commoventi, rocambolesche, con un ritmo che in certi momenti mi ha dato l’impressione di trovarmi in un’opera di Feydeau. Le considerazioni e le riflessioni dell’io narrante, che si uniscono e si alternano ai colpi di teatro, accompagnano una profonda transizione, un capovolgimento di certezze e convinzioni.

Tutto passa da uno sguardo ricambiato, occhi negli occhi con quelli di un cane: che sia il tuo o un randagio incrociato per strada e poi accolto, lui sa, prima di te, anche quanto non sai, tu, adolescente un po’ viziata o adulta in cerca del tuo posto nel mondo e della tua affermazione sociale. Arriva il momento in cui comprendi qual è il tuo posto, dove è giusto “abitare”, quale direzione seguire, anche grazie al diverso punto di vista che un cane è capace di mostrare.

Non bisogna però lasciarsi sfuggire tutti quegli attimi di “frattempo” che costituiscono la loro vita, breve ma densa e intensa, e possono migliorare la nostra, anche quando se ne vanno, nonostante il dolore.

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