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L'ho conosciuto per caso.

Gentile, premuroso, generoso; autore raffinato, mai pretenzioso, e fecondo.

I suoi romanzi, le novelle, i racconti aprono al lettore un ventaglio di situazioni e argomenti e ambienti sempre diversi e accattivanti.

In ogni vicenda c'è un senso. Ogni trama coinvolge. I suoi personaggi non si dimenticano.

Da non perdere, neppure uno.

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"Di nuvole e d'acqua salmastra" è il secondo romanzo di Federico Maderno il cui protagonista, Evaristo Delai colpisce ancora nel segno:  avvince dalla prima all’ultima pagina, conduce a seguire gli indizi e accompagna nella soluzione del caso senza mai, neppure per un attimo, flettere l’attenzione, sollecitandola anzi a memorizzare tutti i particolari che di sicuro lui ha già catalogato e assimilato.

Non è un esponente delle forze dell’ordine, non è un investigatore, non è un ficcanaso: solo un uomo capace di ascoltare il proprio senso civico e di mettersi in cerca della verità, sulla quale altri sorvolano, contenti di aver individuato qualcuno da chiamare colpevole, soddisfatti di elencare motivazioni anche se sono totalmente estranee all’accaduto.

Chiusa la porta dell’interno 18, scala B, di via Adelaide Bioccoli, di una città imprecisata, salutate in fretta Valentina e la figlia Elisabetta che ha salvato dal rapitore (nel romanzo precedente), accetta l’accorato invito di un amico, frequentatore come lui della palestra di via Adua dove tiravano di boxe, a raggiungerlo in Veneto; ma lo fa nel suo modo, schivo e appartato, per non pesare, non disturbare, non provocare dolore sia pure involontario.

Non raggiunge l’amico, si ferma nel delta del Po, attirato da un paesaggio di nuvole e d’acqua salmastra, entra in punta di piedi nella vita e nelle dinamiche del luogo e risolve un delitto archiviato, solo in apparenza risolto.

Non si può anticipare nulla di più per non sciupare la bellezza di questa narrazione.

Si segue Evaristo Delai nella minuziosa e attenta raccolta degli indizi disseminati nelle pieghe dei dialoghi, nel detto e nel non detto, nelle espressioni dei volti, nel linguaggio dei corpi, nei dettagli. Lo si segue quasi con apprensione per la sua salute pesantemente compromessa, con il suo “non avere più voglia” di vivere ma con il suo insistere per giungere alla verità dei fatti, che solo in un modo possono essersi svolti.

Se fossi uno sceneggiatore, utilizzerei le vicende di Evaristo Delai per lo schermo, grande del cinema o piccolo della televisione. C’è un’ambientazione della provincia italiana che, in questo secondo romanzo, scorre lungo le rive del Po e ricorda grandi romanzi (e sceneggiati) del passato; c’è un protagonista ben delineato, con un’etica, una ratio, una sensibilità precise, caratterizzato da piccole abitudini e grandi problemi; ci sono personaggi secondari e comprimari tutti vividi, che restano impressi. Sarebbe un successo, un riconoscimento meritatissimo per l’autore che pure ne ha già mietuti parecchi. La sua penna è invidiabile.

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Abigail di Federico Maderno è stato creato pensando ad una lettura per adolescenti?

Sì, ma non solo, secondo me; di sicuro questo romanzo ha lo spirito e il piglio di quelli che prendevo in prestito alla biblioteca del liceo e divoravo nel giro di pochi giorni.

Per quanto riguarda la trama, posso anticipare che la vicenda si svolge a Londra nel 1868, il narratore e protagonista degli eventi è un medico cinquantenne, di quelli che tanto vorrei esistessero ancora, che curano davvero e non riempiono solo ricettari.

Null’altro si può rivelare se non i temi trattati dall’autore, come a scuola, ai miei tempi, l’insegnante di italiano richiedeva di individuare dopo una lettura.

C’è l’amicizia nata negli anni dei giochi infantili che si rinsalda nel momento del bisogno; la dedizione che trova riscontro in una riconoscenza a sua volta determinante; l’amore tutto ottocentesco per una fanciulla in pericolo; la fine meritata del corrotto e dei malvagi di turno – e almeno con l’immaginazione è bello pensare che può accadere.

Tutto è magistralmente collocato, nel tempo storico scelto, con descrizioni certosine: precise e accurate al dettaglio. Atmosfera, clima sociale, problemi e tematiche del secondo Ottocento nella capitale dell’Impero britannico che – non si può dimenticare – è stato costruito navigando, sono vividi e durante la narrazione si riflettono nei numerosi personaggi. Questi, prevalentemente maschili, ma che ruotano attorno alla figura femminile sintetizzata nel titolo, sono caratterizzazioni ognuna da cameo.

Il giallo iniziale si stempera nell’avventura e nella discrezione del narratore, che conclude con un epilogo in perfetta linea con il personaggio.

Che bel libro! Non a caso vincitore di numerosi premi.

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Nella quarta di copertina di Tùrbìne di Federico Maderno si legge: «Un sistema prodigioso, un arcano motore pulsante […] muove il Mondo».

Confesso: mi sono persa nei meandri della Galleria Ponselliviana che il protagonista Corrimano, invece, conosce a menadito e percorre ad occhi chiusi, salvo poi imbattersi in rifrazioni di luce da far tremare i polsi anche al più scettico miscredente. Ho però il ragionevole dubbio che proprio lo sperdimento durante la lettura sia lo scopo dell’autore. E la vicenda de Il frutto di Balanos è, tra i quattro romanzi brevi radunati in questo libro, quello che mi ha coinvolta di meno!

Gli altri mi hanno letteralmente tenuta incollata alla pagina in attesa dello svelamento del mistero.

Nelle immagini suscitate dalla lettura, Dresda mi ha ricordato un film drammatico bellissimo di Rossellini, Germania anno zero. Nell’abisso del cristallo è quello che ho preferito: un’antica dimora, vicende di una famiglia, eredi di tempre differenti, l’artigianalità artistica del vetro e il mistero che fa turbinare i pensieri. La storia incredibile del dottor H. Magbude anticipa invece nello stile, nell’ambientazione e – ancora – nel mistero, i colori e le trame di un successivo lavoro di Federico Maderno, Abigail, di cui dirò.

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I Profili diseguali dei racconti di Federico Maderno, sono quelli delle Langhe, dove, circoscritti dai crinali delle colline, immersi nel variopinto alternarsi delle stagioni, tratteggiate con una penna che si trasforma in pennello e dipinge acquerelli di rara bellezza, si muovono personaggi della provincia piemontese che sarebbe riduttivo definire tipici.

Infatti, oltre a rappresentare un piccolo mondo, possono assurgere a simboli dell'umanità nostra contemporanea, con vizi e virtù.

Non a caso secondo me si chiama Incanto il cavallo che, uscito dalla Storia, conduce il lettore tra boschi e sentieri e vigne, sorprendenti come le trame di ogni racconto, fino a un cimitero, per riportarlo alla fine nella casa di un uomo, generoso, rimasto solo.

Più che meritato 1° premio sezione Narrativa edita - VII edizione del concorso Versi sotto gli irmici. La pittura incontra la poesia - Piaggine (SA).

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In V.O.R. L'inganno accecante di un gioco pirotecnico, di Federico Maderno, c’è uno scrittore in cerca del senso della vita e dove potrebbe cercarlo se non tra le pagine di un libro?

Questo il filo rosso della vicenda (leggi qui) che non serve svelare perché la lettura di questo romanzo, bellissimo, a mio parere ne prescinde.

Ci sono pagine che vivono, ed emozionano, anche se lette da sole, quasi avulse dal contesto. Si innescano, una con l’altra, come le tessere di un domino e il lettore le segue, ne scopre il percorso, fino ad esserne rapito, fino alla condivisione di molte suggestioni.

Il romanzo ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tutti meritati per una scrittura bella, limpida, accattivante e coinvolgente, capace di essere precisa nei minimi dettagli senza parvenza di noia o pesantezza.

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Nove novelle nolesi di Federico Maderno sono una più bella dell'altra, dall'inizio alla fine.

Può una prosa risultare eufonica?

Può, mentre leggi, trasportarti sul banco del liceo a separare sillabe (Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi)?

Può cantare e suonare come una ballata di Faber?

Può farti riflettere come un pezzo di Paolo Conte?

Può accompagnarti in un borgo ligure come se lo conoscessi da sempre, anche se non ci sei mai stato?

Sì. Può tutto questo.

Perché?

Le nove novelle nolesi sono un gioiellino imperdibile.

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Consapevole ingranaggio del caso e il finale è in omaggio di Federico Maderno è un romanzo giallo che ha per protagonista un personaggio di cui non si può fare a meno di innamorarsi.

Detective per caso, Evaristo Delai conta il suo tempo, ore minuti secondi, e si rivela o si scopre incline al prossimo, pronto all’aiuto proprio quando l’energia vitale scema. Ma vuole riuscire, vuole arrivare là dove le forze dell’ordine per quanto spiegate non trovano.

C’è una bambina sparita, una mamma sofferente, un condominio che Delai conosce meglio di altri, perché si è preso la briga di osservare e ragionare.

Un genere a me poco congeniale ma l’autore mi fa leggere, quasi d’un fiato, senza mai stancare, sempre chiaro, con la speranza che un’altra inchiesta si proponga al suo personaggio, capace di trovare il destro per altri finali.

E la speranza non è stata disattesa.

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La sinossi (leggila qui) dice tutto: sintesi perfetta del libro, incuriosisce al punto giusto, aiutata dalle immagini di copertina, una rana, un frutto di melograno, appoggiati su una pietra, il disegno di uno spirografo, ti domandi immediatamente: perché? Quindi a soffermarsi sulla trama e sulla struttura del romanzo si rischierebbe solo di rovinare il piacere di una lettura trascinante. Importa piuttosto il susseguirsi di emozioni e coinvolgimento, rare nella narrativa contemporanea letta di recente. Importa segnalare, ma è solo un esempio tra tanti, l’abile costruzione del personaggio protagonista, che una giovane donna chiama scioccamente “Coso”. È il bambino che rincorso dalla Storia nell’incipit diventa un giovane, militare di leva, e poi un uomo incapace di negare aiuto a chi è in difficoltà. Prova a farsi argine, come gli hanno insegnato in caserma, mettendo a rischio esistenza ed incolumità, per smascherare e fermare qualcuno e qualcosa che hanno un unico, banale ma realistico, minimo comune denominatore. Più di 500 pagine, ma se un libro è ben scritto – per citare Jane Austen – è sempre troppo corto.

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Vecchie cose dimenticate di Federico Maderno possiede una scrittura curata e sapiente che è riuscita a catturare la mia attenzione per la precisione meticolosa nella scelta dei lemmi, le suggestioni delle similitudini, l’atmosfera confidenziale.

La trama, originale, insolita, porta il lettore dai caruggi di Genova all’estremità del levante ligure in un susseguirsi di incontri che evocano davvero le trame segrete dei carbonari cui l’io narrante, sul filo dell’ironia, li paragona.

I “congiurati” sono personaggi ovviamente misteriosi, protetti da pseudonimi, nascosti in luoghi insospettati, svelati sì, ma fino a che punto?

Geometra, io narrante, potrebbe essere uno di noi pochi affezionati alle “piccole cose interessanti”, diventate antiche e rimaste amiche, che ci ostiniamo a conservare, proteggendole come si riesce dallo schiacciasassi del progresso, perché non è sempre bello, il progresso. Specie quando inibisce la capacità di usare, le mani ma soprattutto l’intelligere.

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