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Il Prix Italia? Mai sentito...

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Il libro

«Di cosa ti occupi in questo periodo?»

«Del Prix Italia».

«Di cosa?»

«Prix Italia, un concorso internazionale creato dalla Rai».

«Mai sentito».

Questo in estrema sintesi era il prototipo di conversazione più frequente quando mi capitava di raccontare cosa stessi studiando, visto che ero passata da biografie di uomini politici e non, di ambiente lombardo, ad un soggetto poliedrico, di respiro internazionale, difficile da inquadrare, ancor più complicato da spiegare e raccontare.

I documenti
e il rischio del sile
nzio
delle fonti soppresse

Lo stesso Premio Italia (successivamente Prix) aveva difficoltà a descriversi. Dal 1948, anno in cui nacque, si arriva alla metà degli anni ’60 per prendere la decisione di affidare a Sergio Zavoli la realizzazione di un documentario (irreperibile all’epoca della mia ricerca) che spieghi al pubblico l’organizzazione del concorso. Infatti, una delle problematiche più rilevanti per il Premio era come conservare e archiviare la propria eterogenea documentazione: al concorso partecipavano testi, spartiti musicali, sceneggiature, registrazioni, pellicole, videotape che riproducevano le opere in gara. Non si sapeva né dove conservare, né come né cosa: cosa ha la dignità di durare?

Dunque, per scrivere la storia del Premio Italia, la difficoltà di reperire le fonti si presenta sia allo storico “accademico” sia allo storico del mezzo radiofonico prima e televisivo poi, andandosi a innestare sulla già difficile relazione tra lo storico e la radiotelevisione italiana, iniziata nel momento in cui questa sembra voler assegnare a quello un ruolo che gli è estraneo (di commentatore di avvenimenti appena accaduti) e rischia di trasformarlo nel surrogato di un politico.

Manca la certezza del diritto in materia di riproducibilità, vulnerabilità del consumo, logistica di gestione e controllo di un archivio. Nell’era della riproducibilità tecnica manca la coscienza del proprio divenire, tra necessità di conservare e fastidio della memoria legata alla rapidità delle trasformazioni.

Prima di questo libro,

il Prix Italia era stato citato all’interno di ricostruzioni più generali sulla radio, sulla storia della musica elettroacustica, fino a un primo approccio realizzato sulle brochure pubblicate annualmente e sulle opere premiate.

Sulla base della disponibilità delle fonti esistenti, questo libro prende invece in considerazione il Prix Italia come associazione fra enti di radio e tv che organizzano un premio annuale per la propria produzione ispirata da una filosofia dell’eccellenza (la ricerca della qualità) nell’esercizio della professione che ricorda per certi aspetti il Rotary International. Prova quindi a spiegarsi come mai un fenomeno mediatico nato nel secondo dopoguerra e ancora in vita, abbia avuto e abbia come uno dei tratti distintivi l’essere così poco popolare (e il termine non è scelto a caso).

Enzo Ferrieri,

direttore della prima compagnia stabile per radiodrammi, è il fulcro dei fermenti milanesi in cui inizia a prendere vita un nuovo modo di usare la radio. Si assicura la collaborazione di Pirandello, Rosso di San Secondo, Gino Rocca e Luigi Chiarelli. Suo è il Manifesto della radio, uscito nel 1931.

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Guido Piovene: «Tra radio e cinematografo trovo ancora più utile la biblioteca».

Si cerca - con molta difficoltà - di indurre gli autori a scrivere per il microfono, cercando di convincerli che la programmazione radiofonica nonostante fosse inferiore a quella teatrale, sia come prestigio sia economicamente, ha il vantaggio di uscire dai confini nazionali.

La prima idea del Premio Italia nasce con l’intento di radunare il meglio della cultura europea; fondamento comune è un aspetto culturale che non ha bisogno di essere tradotto in affermazioni perché identificato in un legame tra uomini di lettere al di sopra di vincoli internazionali; a questa concezione il Prix Italia rimane a lungo abbarbicato.

Screenshot 2022-04-29 at 00-57-00 Roma Cristano Ridomi et Salvino Sernesi de la RAI Vintag

Salvino Sernesi

Sergio Pugliese

​Tutte le testimonianze disponibili ne attribuiscono la paternità a Salvino Sernesi, che la sviluppa in una discussione sullo specifico radiofonico e sul rapporto tra arte e radio con Giulio Razzi, direttore dei programmi, e Sergio Pugliese. Ma si era svolta una prima riunione informale alla Fondazione Cini a Venezia già nel 1947 tra Marriott per la BBC, Bezençon per la Svizzera, Rudolph Henz per l’Austria, Paul Gilson per la Francia e per l’Italia Sernesi e Zaffrani, che avevano organizzato tutto da Torino, dagli uffici dell’EIAR, passati alla direzione generale della Rai.

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Gianfranco Zaffrani

Nei tempi immediatamente successivi alla liberazione, Gianfranco Zaffrani fa parte del primo nucleo redazionale della radio milanese dove si occupa del settore musicale e organizza tournee per le orchestre Rai nel mondo.

Intimo di Stravinskij, uomo di raffinata cultura, è direttore generale della Rai di Torino dove è nata quell’orchestra sinfonica che durante la guerra è stato incaricato di salvare dai bombardamenti, trasferendola a Venezia.

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Qui, dopo aver lavorato nelle sedi di Bolzano e Trieste, assume la direzione della prestigiosa sede Rai e vi raccoglie una quantità di talenti. Trait d’union di straordinaria efficacia in campo internazionale,  primo segretario generale del Premio, è colui che ne disegna in gran parte il profilo e gli dà un’impronta elitaria qualificante e duratura, a cominciare dalla scelta della lingua ufficiale, il francese. Quando assume il segretariato del Premio Italia, dirige l’ufficio Rai rapporti con l’estero, settore in costante connessione con il Premio.

Sul carro di Tespi

L’incontro costitutivo si svolge a Capri nel settembre 1948, in forma di conferenza radiofonica tra i rappresentanti più accreditati dei principali organismi europei: una cinquantina di uomini attempati che cercano di redimere la radio dalle colpe della propaganda bellica, di evitare la contrapposizione ideologica (nel 1948…), di fare della radio un mezzo di diffusione della cultura mettendo in gara non gli autori ma gli organismi radiofonici con una intenzione europeista non semplice da sostenere nel «vuoto di Europa» del momento. Idea fondante è quella di utilizzare i nuovi media per fini da cui divergevano per intrinseca natura, divergenza di cui non si è al momento pienamente consapevoli.

Il Premio Italia non ha una sede fissa, ma ogni anno si sposta come un carro di Tespi lungo tutta la penisola, si ferma in molte città nelle sedi più disparate.

"Cercar di portare alla radio alti pensieri e buona musica" (S.Sernesi)

Se la storia del Prix Italia letta nelle pagine meno spettacolari del quotidiano lavoro di definizione e costruzione di una linea editoriale si potesse sintetizzare in un coefficiente, potrebbe esserlo nell’infaticabile, un po’ caotico e perpetuo sforzo di modifica del regolamento, una gioiosa fatica di Sisifo – come la definisce Zaffrani citando Albert Camus – che è logicamente più intenso nei primi anni di vita della manifestazione, ma non s’interrompe mai; lo scopo è quello di perfezionare il meccanismo e adeguarsi ai rapidi cambiamenti (l’avvento della televisione prima, del web poi).

Questioni fondanti
Radiofonia è parola

Quali opere si devono presentare? Quale qualità si deve premiare? La radiofonia pura esiste davvero? Forse no, ma bisogna continuare la ricerca, trovare una composizione che benché scritta esclusivamente per la radio possa avere altre esecuzioni. Non resta che lasciare alla giuria il compito di stabilire la natura delle opere presentate. Il difficile legame tra autori, radio e poi televisione costitusce uno dei tanti aspetti della vicenda del Premio, tra i più interessanti per le evidenti influenze sul rapporto che tra media e pubblico si realizza attraverso i testi.

Arriva la tv con il
documentario

Radio vs Tv, una sorta di Eva contro Eva in cui la radio senza eccessivi clamori riesce sempre a soddisfare quella richiesta di eccellenza che era origine e ragione del Premio. Il famoso documentario radiofonico di Sergio Zavoli, “Clausura”, che ottiene il Prix della stampa nel 1958 è sicuramente a questo proposito l’esempio più pregnante. Ce ne sarà poi anche una versione televisiva.

Il termine documentario suggerisce non pochi problemi di comprensione e comunicazione, ad iniziare dalle differenze di significato esistenti in due delle lingue ufficiali del premio. Per alcuni infatti la parola in inglese consente una produzione di tipo narrativo realistico con elementi riconducibili alla fiction, esclusi invece nel termine francese, per altri si tratta solo di ammettere o meno una forma drammatica in gara. Diviso dunque tra fatti reali e reportage romanzato, tra attualità e drammatizzazione, tra contemporaneità e ricostruzione storica, il documentario apre faticosamente la strada alla televisione nel Prix, orgoglioso della propria identità radiofonica.

Diventa però impossibile evitare il confronto con il nuovo mezzo.

La caratteristica sperimentale, la posizione di confine tra informazione ed educazione fanno del documentario il genere più adatto a selezionare una produzione televisiva di qualità, anche se sfugge alla rigidità delle categorie pensate per i programmi in gara.

Nelle intenzioni dei fondatori è presente la volontà dichiarata di costruire una casa comune sovranazionale, utilizzando i mattoni della comunicazione di massa e il cemento nobile di una cultura di stampo prevalentemente latino-francese, iscritta  in un orizzonte di valori umanistici, che Zaffrani incarna ma che è in gran parte condivisa dall’organo deliberante dell’associazione.

Ad essa si affianca la costante preoccupazione di far circolare la reciproca conoscenza attraverso le opere, cui è legato un determinante aspetto economico relativo allo scambio e alla trasmissione via etere delle produzioni.  Nella commistione di questi elementi sta quel transnazionalismo spesso evocato al quale si tende.

Splendido e isolato

Così Zaffrani avrebbe voluto mantenere il concorso: nella propria nicchia di eccellenza, difeso dalla concorrenza, intatto, pulito dalla pubblicità, in un alone di aristocratico riserbo; con scarso appeal e noto solo agli addetti ai lavori.

Gianni Granzotto - amministratore delegato Rai - apre l'edizione del 1964 con una sorta di proemio che diventa consuetudine e suggerisce  di riflettere sul delicato rapporto tra il mondo reale e la sua rappresentazione attraverso le immagini, di valutare il rischio di una mistificazione, cui non era estranea neppure la parola, che avrebbe inciso pesantemente sui costumi contemporanei.

Tutto il meglio che ogni organismo ha pensato di dover scegliere per vincere è un’occasione “di raffinato aggiornamento professionale e di arricchimento prezioso dal punto di vista artistico e umano”.

Quarantuno organismi associati di dimensioni sempre maggiori, l’ampliarsi delle prospettive delle grandi comunicazioni di massa con l’impiego del satellite, con la cooperazione tecnica tra diversi gruppi internazionali che riuniscono organismi di vaste zone del mondo, con la possibilità di incontri simultanei in video, mettono tutti di fronte a maggiori responsabilità, catapultano in una dimensione galattica che la diretta dello sbarco sulla luna quasi consente di toccare con mano.

Il nuovo amministratore delegato della Rai, il socialista Luciano Paolicchi, non mette in discussione i meriti del Prix ma, interpretando le esigenze dell’azienda, promotrice di una proposta di modifica del regolamento tv, cerca di spostare l’attenzione sulla produzione attraverso la quale avveniva “il contatto abituale con il pubblico” e sulla quale dal pubblico si era giudicati.

Ottiene una generale levata di scudi. Senza dubbio si deve riflettere sul senso del concorso e intervenire con un mutamento importante, ma non a costo del sacrificio della radio.

Anche Il Prix Italia compie vent’anni, come i giovani contestatori del ’68, ma non ne segue i cortei, ligio alla rigida formazione ricevuta

Gianfranco Zaffrani esce di scena

Lo stile con cui aveva svolto il suo compito, l’affezione dimostrata, la professionalità e la competenza per cui era stimato contrastano nettamente con un abbandono che ha tutto l’aspetto di una sostituzione in tronco, di un avvicendamento deciso dall’alto e giunto inatteso sull’organizzazione del premio che fatica un poco a ritrovare un assetto stabile.

Alvise Zorzi, sostituto temporaneo, racconta che Zaffrani è raggiunto all’estero da una telefonata del suo collaboratore con la quale gli è comunicata la sostituzione. Uno dei superstiti della vecchia dirigenza di Bernardi legata all'ambiente torinese è rimosso.

Risale al 1969, un anno prima della sostituzione, l'ordine di servizio 376 che fissa la struttura dell’azienda e ne fa specchio dei rapporti di forza del paese: le direzioni ai democristiani, le vicedirezioni e condirezioni ai socialisti, un paradigma sicuramente rappresentativo. Nel cambiamento, che Granzotto si era rifiutato di firmare dimettendosi, sono coinvolte circa trecento persone.

Mario Motta:

Se “la qualità non deve essere confusa con lo sperimentalismo, con le compiacenze formali, con l’esoterismo”, va però ricordato che radio e televisione non si rivolgono “più a pochi eletti ma a un pubblico molto molto largo”, pertanto è inevitabile favorire l’accessibilità a un grande ascolto popolare, quindi includere opere "popolari".

Esponente di primo piano della sinistra cristiana, impegnato nell’apostolato sociale e nella redazione della rivista “Terza generazione”, soprannominato “il cosacco”, Mario Motta era stato chiamato da Guala ai programmi radiofonici e da Bernabei messo a capo di un Comitato programmi creato in seguito alla nota vicenda della parodia di Gronchi realizzata da Vianello e Tognazzi. Sul significato innovativo e pragmatico del segretariato di Mario Motta concordano tutte le testimonianze ascoltate, anche se non si sbilanciano, purtroppo e sintomaticamente, in più circostanziate considerazioni.

Il Prix Italia sembra lasciar scorrere, parallele ai suoi meccanismi riprodotti all’infinito, le discussioni degli intellettuali e operatori che egli stesso riunisce nei convegni legati alla manifestazione.

Diventano un appuntamento fisso i convegni organizzati ad ogni sessione. L’idea risale all’ultimo anno della gestione Zaffrani, suggerita dall’amministratore delegato della Rai Paolicchi, come “iniziativa unilaterale” che l’azienda è pronta ad assumersi per realizzare una tavola rotonda sul rapporto tra parola e immagine nei programmi televisivi. Simile genere di manifestazione deve diventare “un’attività istituzionale del Prix Italia” per avvicinare concretamente teoria e prassi. Con questo accenno si chiude  l’intervento per l’introduzione di categorie di opere “popolari”.

Vocazione diplomatica, perfetta conoscenza di due lingue e una “certa possibilità di svolgere questo tipo di lavoro”. Consapevole del tempo in cui vive usa la propria cultura per condividere con altri il piacere di ampliare la conoscenza, senza preclusioni, improduttive gelosie o superati paternalismi.

Entra in Rai nel 1953 come responsabile dei programmi culturali della direzione centrale esercizio tv di Milano.

Organizza la prima trasmissione in eurovisione nell’aprile 1954 dal Vaticano.

Quando è creata la direzione centrale programmi tv, la segue a Roma come capo del servizio programmi culturali speciali.

Dopo l’arrivo di Bernabei, sotto la presidenza Quaroni, Zorzi passa dai programmi alle relazioni internazionali come direttore delle relazioni pubbliche e poi responsabile dei rapporti esterni, nei quali rientra l’ufficio stampa Rai.

Rappresenta la Rai nella UER e nel 1976 si prepara ad assumere la direzione di un telegiornale.

Mentre attende un incontro con l'on. Piccoli per "discutere l'impostazione politica di un servizio", riceve una telefonata.

il Doge

Il presidente Finocchiaro lo informa che è stato deciso diversamente: nessuna direzione del telegiornale.

Gli affidano il segretariato del Prix Italia, una nomina che lo avrebbe preservato da fastidiosi vincoli di acquiescenza politica: “non avrei mai rinunciato alla mia indipendenza, risolsero loro per me”.

Il Prix Italia era considerato “un complemento alle attività internazionali della Rai”, un settore defilato di grande prestigio, nel quale il segretario poteva “regnare come un doge”, una carica simbolica che poteva essere riempita degli opportuni contenuti, “ma certo era un’uscita dalle stanze dei bottoni”.

In ogni caso gli piace perché, nutrito di interessi storici e letterari e già personalità di successo, non ha “ambizioni di potere".

Tutti si appassionano ai festival del cinema, il Prix Italia invece non è seguito dalla massa, e parecchi ne ignorano persino l’esistenza: logica conseguenza della scelta originaria da cui si fatica a prendere le distanze e che diventa sempre più paradossale per chi rivendica sul terreno delle comunicazioni di massa un ruolo di giudice dell’eccellenza.

Mentre la logica della comunicazione segue un percorso di nazionalizzazione evidente nel cresciuto livello di istruzione, nell’omogeneizzazione del linguaggio, nella diversificazione dei riferimenti culturali, dimensione locale e nazionale si confrontano su un terreno in cui il primato all’inizio degli anni Ottanta spetta alla politica e alla logica del mercato pubblicitario.

La poca chiarezza di intenti nella definizione di un ruolo delle regioni in materia di programmazione televisiva si sovrappone alla formazione dei network italiani, aziende primitive legate alla figura del fondatore proprietario-pioniere e a un’ideologia liberista pronta ad entrare nella logica della vendita degli spazi pubblicitari, all’assenza delle grandi aziende industriali preoccupate di non urtare la suscettibilità dei propri referenti politici e di non avventurarsi in investimenti rischiosi, al limite della legalità.

L’intera vicenda si sviluppa nel vuoto legislativo, in un permanente stato di crisi.

Compito del servizio pubblico è produrre il nuovo, ma può la cultura nell’epoca dell’elettronica essere solo tecnologica, degli audiovisivi e della televisione? La storia dell’industrializzazione della cultura è segnata dall’integrazione tra qualità del lavoro intellettuale e quantità della sua riproduzione, percorso di cui la storia della tv fa parte perché elemento del più generale processo di trasformazione del lavoro intellettuale nella società di massa. La televisione pubblica deve difendere la cultura nazionale o contribuire allo sviluppo di una cultura sovranazionale che non si trasformi in una egemonia colonizzante? Chiusa la fase in cui cresceva senza bisogno di nulla, il servizio televisivo pubblico si concorda debba diventare una holding della cultura.

Storici, letterati e politici possono protestare sulla poca serietà, scarsa verità, totale superficialità della cultura fornita dalla tv, ma non ne possono contestare peso e quantità. La cultura stessa ridiventa orale e ha bisogno di una lingua comune e non un latino cioè una lingua internazionale a disposizione di alcune élites. L’inglese si propone come prima lingua mondiale, superiore chiave di accesso alla cultura orale, strumento di diversificazione. Anche il Prix Italia, nato all’insegna della francofonia, si adegua alla nuova koinè anglosassone.

Inviato speciale all’estero, Branzi è in Rai dal 1960, direttore del centro di produzione per la Toscana, con un ampio ventaglio di incarichi nel settore giornalistico e dei servizi parlamentari,  e conseguente conoscenza dell’azienda che può aver suggerito la sua nomina.

Per evitare contraccolpi negativi, vecchio e nuovo segretario generale, dal 1987 lavorano per un periodo fianco a fianco: è importante garantire la continuità mentre si sta determinando una migliore definizione delle caratteristiche richieste per l’appartenenza all’associazione.

Le novità del mondo delle comunicazioni investono in questo periodo almeno dieci campi operativi: teletex, radiodata, radio software e tv software, trasmissioni interattive di dati, tv stereofonica, radiofonia a isofrequenza, rete a banda larga e fibre ottiche, tv di migliore qualità, tv ad alta definizione, diffusione diretta dal satellite.

Sotto forma di monito, arrivano dagli ormai tradizionali discorsi di saluto di Biagio Agnes espliciti inviti ad adeguarsi: superare losforzo di non tradire le linee originali per introdurre nella formula della manifestazione elementi di novità sostanziali alla luce appunto delle novità del mondo delle comunicazioni.

Appare grave e conclamata negli anni del segretariato di Branzi la crisi della creazione.

Per un Premio che dice di voler mediare tra qualità e popolarità il tema imprescindibile è quello della scrittura per la televisione, che tuttavia non costitusce mai oggetto di esplicita discussione tra i realizzatori dei programmi associati nel Prix.

Si è persa lungo il cammino l’attenzione a uno degli scopi fondanti e davvero eloquenti del Premio, invogliare gli autori a scrivere per il microfono.

Gli uomini del Prix paiono leggere e sottoscrivere rassegnati una dichiarazione di rischio di estinzione della specie, mentre esplode in Europa un fuoco artificiale di satelliti a diffusione diretta che agiscono da lievito al numero dei canali disponibili.

Il satellite, mito sparato nello spazio, tramite di un’informazione che viene dal cielo ed è, in modo assiomatico, senza frontiere, aumenta l’opulenza comunicativa tipica della società contemporanea, impone padronanza dei criteri di scelta, non può prescindere dalla lingua, rende quindi necessario riconvertire una parte dei messaggi linguistici in messaggi di immagini o prepararsi a una produzione internazionale in almeno otto lingue diverse. Ripetitore di ultima generazione nella società dell’istantaneità e dell’ubiquità, dimostra che si può superare la lentezza ma non l’ambiguità delle immagini.

Cosa resta della visione illuministica di distribuzione della conoscenza?

Le vicende del Prix Italia sembrano confermare che la logica dominante fra gli organismi radiotelevisivi dell’associazione resta quella, non necessariamente infausta, dell’incontro e dello scambio di prodotti autoctoni.

Sulla scena italiana, la Rai affida il compito di stare sul mercato al tandem democristiano-socialista Agnes-Manca, coadiuvato dalla Terza rete di Gugliemi e Curzi, e si avvia a chiudere il duello con la Fininvest. Il condono per l’abusivismo televisivo giunge con la legge Mammì, che istituzionalizza il duopolio, istituisce il garante e non modifica nulla del servizio pubblico. Non prevede integrazioni tra televisione e satellite, tra televisione e telecomunicazioni, possibili canali di accesso per indesiderate infiltrazioni, e l’effettiva gestione dell’etere è affidata all’esecutivo.

Nascono i telegiornali della televisione commerciale, costretta ad abbandonare l’apoliticità su cui aveva costruito la propria ascesa e spinta a puntare su una redditizia inversione di priorità tra avvenimenti politici e cronaca, sull’antitesi tra gente e potere, tra bisogno di certezze e garanzie e diffidenza verso il pubblico, la classe politica, lo stato, alimentata dai blitz del pool di Mani pulite.

1991 -1993 tempi difficili

Si apre per l’associazione un triennio difficile, negativamente condizionato dalla gestione socialista dell’azienda italiana, dalla preferenza accordata alla concorrente Umbria Fiction, da pesanti problemi di bilancio che inducono nel 1993 il direttore generale della Rai a dare al premio cadenza biennale.

Nessuno degli organismi aderenti avrebbe accettato di presentare i suoi programmi a distanza di due anni e si teme che con la proposta la Rai intenda chiudere i battenti di una manifestazione aristocratica considerata infruttuosa. Quando la presidente Moratti avanza l’ipotesi di una chiusura della manifestazione, la BBC si offre di rilevarla.

Tacciono per gli anni dal 1991 al 1993 i verbali dell’assemblea.

Continua, invece, l'attività dei convegni.

La prospettiva migliore indicata dagli studiosi riuniti dal Prix Italia pare quella di scegliere di fare la pedagogia del problemi attraverso lo spettacolo e ridefinire una morale dell’informazione e del servizio pubblico, di condurre una politica di cui la Rai può essere il modello con la pratica dei tre canali, che permetta al servizio pubblico di coprire l’insieme delle funzioni in modo coordinato e forte. Prima di decretare la fine della storia, restano da ripensare il servizio pubblico, la cultura, la funzione politica, difendendo l’esistenza di una televisione che intende servire l’insieme della popolazione.

La qualità, cos'è?
1. Leggerezza 2. Velocità 3. Esattezza 4. Visibilità 5. Molteplicità 6. Coerenza
(Italo Calvino)

Secondo il nuovo segretario Paolo Battistuzzi, la qualità di rete si deve valutare in base a disponibilità economiche, offerte della concorrenza, preservazione dell’immagine del canale, target orario, pluralità e aggiornamento dell’offerta, ascolto, presenza o meno del messaggio, ma resta un valore relativo.

Si può però provare a fissare principi universali di base, premiare la qualità dei palinsesti. A ciò sono dedicati i convegni a partire dal 1995.

La scelta nel 1999 di Carlo Sartori a segretario generale è il segnale di un rinnovato interesse del Prix Italia al complesso mondo della medialità e il tentativo di approfondire la definizione della qualità, concetto che, ampliando quello centrato esclusivamente sull’estetica del prodotto, può  – e probabilmente deve  – essere utilizzato come unità di misura dell’eticità della tv e che, opportunamente impiegato, può – e verosimilmente deve – reimpostare in termini più armonici il rapporto con la quantità.

Si tratta del necessario superamento di vecchie dicotomie, quelle ad esempio tra arte e tecnologia, tra opera e prodotto, di cui è intessuta la storia del Prix, di ripensare l’antico ruolo educativo svolto dalla televisione, cui si è troppo spesso guardato con disprezzo.

La qualità, secondo Jader Jacobelli

Chi può dirimere la vexata quaestio meglio del coordinatore della "Consulta Qualità"?

Mi sono rivolta dunque al dott. Jader Jacobelli.

Era il dicembre del 2003.

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Questa la mia domanda, provocatoria:

Domanda a JJ 001 (2).jpg

Questa la sua risposta:

Appunto JJ p.1 001 (2).jpg
Appunto JJ p.2 001 (2).jpg

Allo storico che, con occhio notoriamente presbite e orecchio allenato a cogliere le voci del passato, lo ha esaminato nel suo concreto e un po’ frenetico svolgersi, il Prix Italia vissuto nel 2004 in tempo reale, ha fornito conferma dell’analisi condotta.

Resta del Prix Italia l’immagine di un oggetto multiforme il cui status è qualcosa di simile a un laboratorio per la creazione di programmi di alta qualità, un osservatorio super partes che affronta e discute i problemi dei mass media e una sorta di piano nobile della Rai, prestigioso ma di scarso peso politico.

Dal canto suo invece il gruppo dei rappresentanti associati ha sicuramente rivestito i panni di una diplomazia atipica e ristretta, che si è mossa intrecciando rapporti con il mondo diplomatico e con le sfere politico istituzionali, paradossalmente protetta però, quasi oscurata, dagli schermi e dai microfoni. Resta infatti ancora nell’ombra questa dimensione più strettamente politica, che lascia supporre una mappa di relazioni internazionali di tutto rilievo

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